PERCORSI LOCALI

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Secondo il suo biografo Jonas San Colombano nacque nel 540, all’ombra del monte Leinster, nel sud dell’Irlanda. Viaggiò verso nord e studiò come monaco su un’isola nel Upper Lough Erne prima di stabilirsi nell’abbazia di Bangor sotto la guida dell’abate Comgall. Nel 590 lasciò Bangor con dodici compagni attraversò il mare fino a raggiungere la terraferma in Europa. Colombano viaggiò attraverso gran parte della Francia, trascorrendo 20 anni come abate dei tre cenobi da lui fondati di Annegray, Luxeuil e Fontaine tra i boschi dei . Bandito dalla Regina Brunechilde riattraversò la Francia, quindi risalì il fiume Reno fino all’odierna Svizzera ed Austria. Qui il compagno Gallo si insediò nel villaggio di Arbon sulle sponde del lago di Costanza prima di spostarsi più all’interno dove insediò il grande monastero dal quale la città di San Gallo ha preso il nome. San Colombano, ormai settantenne attraversò le Alpi fino a Milano, prima di giungere a Bobbio dove fondò il suo ultimo monastero, morendo qui il 23 novembre del 615.

Colombano è figura esemplare del monachesimo irlandese, che si distingue dal monachesimo benedettino. che privilegia la stabilitas, cioè la fedeltà del monaco sempre ad uno stesso luogo e ad una medesima comunità. Caratteristica peculiare del monachesimo irlandese  è la vocazione irlandese alla peregrinatio pro Christo (o pro Domino): la vocazione cioè al pellegrinaggio di là dal mare, inteso come il definitivo abbandono della propria terra e della propria gente, cioè il definitivo espatrio, che comporta in sostanza un volontario esilio in nome della fede e dunque la scelta di vivere per sempre senza patria, come stranieri in ogni luogo, in quanto sempre in cammino verso una patria vera che non è di questo mondo; una scelta estrema, di grande rinuncia, non a caso considerata come il “martirio bianco”: un martirio appunto, anche se non accompagnato dallo spargimento di sangue.
Si comprende così perché anche San Colombano abbia desiderato e realizzato nella sua vita proprio l’esperienza della peregrinatio, compiendo quindi un lungo cammino attraverso gran parte del continente europeo.

Colombano è stato un santo pellegrino, un grande pellegrino; lo è stato anzitutto nei fatti, avendo percorso in gran parte a piedi 5.000 chilometri; ma lo è stato non meno nella sua disposizione di spirito, nel suo atteggiamento interiore.  Colombano ha inteso realizzare nella sua vita, portandola alle estreme conseguenze, quell’idea cara al pensiero cristiano che vede la vita come un viaggio o un pellegrinaggio su questa terra, in vista di raggiungere la vera patria, che non è di questo mondo. E’ un’idea che egli puntualmente esprime, ritornandovi spesso nei suoi scritti: “I viandanti desiderano sempre, ardentemente, la fine del loro cammino, per cui anche noi, che in questo mondo siamo viandanti e pellegrini, dobbiamo pensare incessantemente alla meta del cammino, cioè della nostra vita: il termine della nostra via, infatti, è la nostra patria.”
Di qui un’altra idea ricorrente, quella della transitorietà della vita terrena, della sua brevità e fugacità, su cui Colombano usa una similitudine che testimonia il suo modo di pensare da vero pellegrino: la vita umana è breve – egli osserva – “come il cammino di un sol giorno”, ossia come una giornata di cammino: che è appunto l’unità di misura – di tempo e di spazio – solitamente utilizzata dai veri pellegrini.